Sono un tifoso della Cavese nato a Pregiato nel 1965 e residente da circa vent’anni in Piemonte (Ceresole d’Alba, provincia di Cuneo). Sono cresciuto letteralmente a “pane e Cavese”: mio padre, da quando avevo 5-6 anni, mi portava sempre allo stadio. Ed è stato proprio tra quei magici spalti del “Simonetta Lamberti” che è nata la mia fede smisurata per la nostra squadra. Oggi vorrei raccontare a tutti voi (specialmente ai più giovani che non c’erano ancora) quando la Cavese, a sorpresa, andò a vincere alla Scala del calcio.

Tutto iniziò sabato 6 Novembre 1982: quella sera per le strade di Cava si vedevano tifosi di tutte le età che si preparavano entusiasti per andare a Milano. E quel giorno Milano voleva dire una sola cosa per noi ultrà: una trasferta dall’esito che nessuno avrebbe potuto prevedere, contro un avversario che in confronto a noi pareva Golia contro Davide: l’AC Milan. Pronti a partire insieme a me, oltre ai miei amici della curva, c’erano mio padre e alcuni parenti che avevo coinvolto nell’“impresa”. Una volta caricati i drappi, le bandiere, gli striscioni e le provviste sui numerosi pullman organizzati dalla tifoseria, prendemmo l’autostrada in direzione San Siro. Durante il viaggio eravamo tutti sopraffatti dall’emozione, e nessuno riusciva a prendere sonno.

Giunti a Milano la mattina del 7 novembre, visto che mancava ancora qualche ora alla partita, decidemmo di recarci tutti insieme, chi in tram e chi in autobus, al Duomo per visitare il centro della città. Ma già durante il tragitto gli sguardi dei milanesi nei nostri confronti erano un misto di perplessità e dubbi su chi fossero tutte quelle persone ornate di bianco e di blu. E alla nostra risposta “Siamo di Cava de’ Tirreni, andiamo a vedere la Cavese”, erano stupiti e meravigliati per l’attaccamento che dimostravamo alla nostra squadra, attaccamento che ancora oggi va oltre ogni distanza.

Quel mattino a Milano piazza Duomo era una marea blufoncé: da ogni vicolo e dalla metro uscivano in massa gruppi di tifosi cavesi armati di bandiere e zaini carichi di cibo nostrano. In Galleria quel mattino c’era anche il noto giornalista sportivo Gianni Brera, che la sera alla Domenica Sportiva avrebbe parlato di noi. Dopo un po’, tornati nei pressi dello stadio, un gruppo di ultrà milanisti (le Brigate Rossonere) si avvicinarono a noi con fare pacifico, proponendo di scambiarci le sciarpe. In quel momento, io diedi la mia sciarpa delle “Falange d’Assalto” a un tifoso locale dell’altra squadra, come mi suggerì il nostro capo-tifoso dell’epoca Adolfo Caldarese.

Entrare per la prima volta in uno stadio al tempo così all’avanguardia e con 60.000 persone sugli spalti, dei quali circa 5000 cavesi, fu un’emozione unica. Allestita la coreografia e fischiato l’inizio del match, i nostri cuori battevano a mille dall’emozione. Poco dopo, al ventitreesimo minuto del primo tempo, le cose si misero male perché il Milan si portò in vantaggio con una stoccata di Jordan. Ma noi non ci facemmo prendere dallo sconforto e non ci scoraggiammo. Non smettemmo mai di gridare e tifare, e fummo ripagati dai nostri aquilotti che riuscirono con una splendida prestazione tutta grinta e cuore a ribaltare il risultato. La Cavese alla fine vinse 2-1 a Milano contro i fortissimi rossoneri di Castagner. Nessun pronostico lo avrebbe mai potuto prevedere, ma fu proprio così.

Uscimmo dallo stadio piangendo e cantando di gioia, pareva un sogno ma era tutto vero. Subito risalimmo sui pullman per tornare a Cava. Durante il viaggio di ritorno, di nuovo, nessuno riusciva a dormire, ma stavolta per la gioia e l’incredulità. Avevamo vissuto un momento storico per la nostra città. Quel giorno noi cavajuoli ci riconfermammo unici, come lo siamo tutt’ora e come lo saremo sempre. Come dice una canzone del gruppo delle Aquile del Nord, ancora oggi sono “orgoglioso e mai rinnego te!”. Un saluto a tutti i Cavesi e alla nostra splendida città di Cava (“mal che vada, un giorno ritornerò”).

Carmine Bisogno, Ceresole d’Alba (Cuneo)

Cavese 1919

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