Fonte: Sito web ufficiale Cavese Calcio
(La maglia di Schetter, lo scarpino di Panini e… una radiocronaca mancata!)
Rovistare nel libro dei ricordi e ripescare aneddoti, momenti, foto, pensieri (belli o brutti): per noi innamorati della Cavese è un esercizio quasi quotidiano. Celebrare, quasi allo sfinimento, l’impresa di Milano, “postare” sui social network foto con le coreografie all’Olimpico, sbirciare statistiche e gol di quel campione che ha reso grande il cammino degli aquilotti in un campionato è linfa vitale per noi amanti della casacca in bleufoncè. Una ricerca resa ancora più ossessiva di questi tempi, con il pallone che non rotola sul manto erboso e con gli aquilotti a riposo forzato.
Anche io, naturalmente, non sono estraneo a questo bel giochino. Beh, potrei partire da quando mi sono “ufficialmente” innamorato di quella maglia: ci pensò un folletto dai piedi fatati e dall’andatura caracollante. Era il 30 settembre del 1984 e facevo ingresso per la prima volta al “Simonetta Lamberti”. In un attimo mi ero già perdutamente innamorato della Cavese e della classe cristallina di Alberto Urban. Da quel giorno in poi, avrei centinaia di episodi da sottoporvi: dalle partite viste nei distinti alla possibilità di fare il raccattapalle nella stagione 90-91. Ero ormai adolescente e facevo, quasi sempre, compagnia ad Enzo Criscuolo, posizionandomi nei pressi della panchina e ammirando da vicino le gesta in campo gente come Pierozzi, Sorbi, Ricci, Polenta, Onorati. E tanti altri. Era la Cavese di mister Paolo Braca: una squadra stoica, quella “venerata” sino a qualche mese prima del fallimento. E poi, la rinascita con la vittoria dell’Eccellenza nella primavera del 1994. Pagine e pagine di domeniche fatte di vittorie e di amicizie.
Individuare una partita con tre aneddoti (di cui uno del tutto personale) è impresa non proprio facile. Ritorno con la mente (e con la narrazione) alla stagione 2004-2005. La prima stagione con Campilongo in panchina. Sarò ripetitivo, ma porto nel cuore tutti quei professionisti che ci hanno esaltato, sciorinando vittorie e spettacolo con i pochi mezzi a disposizione della società.
Domenica 29 maggio 2005 è di scena la semifinale play-off contro la Juve Stabia. I ragazzi ci arrivano motivati, convinti di poter sovvertire i pronostici e, soprattutto, desiderosi di vendicare la sconfitta in campionato a Cava nonché la disastrosa ultima parte di stagione. Si gioca al “Tomei” di Sora: campo neutro e porte chiuse per gli episodi di violenza tra tifosi e forze dell’ordine nel match di campionato al “Lamberti” proprio contro le vespe. In autostrada mi chiamano al telefono: mi chiedono di trasmettere l’intera radiocronaca per una radio locale. Mostro qualche perplessità. Però, per gli amici, questo ed altro. Insomma, raggiungiamo Sora e lo stadio, mi posiziono in tribuna stampa e, in un attimo, Cavese-Juve Stabia prende il via.
Con le squadre in campo, balza subito agli occhi dei pochi presenti un aspetto strano. Antonio Schetter (autore del gol decisivo e di una prestazione fenomenale) indossa una maglia da allenamento, con un numero 11 alle spalle confezionato grazie al nastro medico adesivo. Primo episodio particolare in quella domenica. Comunque, palla al centro e si parte. La Cavese è messa benissimo in campo ed è subito aggressiva. Vado in radiocronaca, ma dopo pochi minuti sono interrotto. Eccolo, si materializza il secondo episodio strano di giornata. Questa volta del tutto personale. Gli ispettori della Lega avevano ricevuto una segnalazione e mi intimano uno stop perentorio alla diretta. Al secondo rimprovero, rischio addirittura il sequestro del cellulare. Concordata la fine anticipata della radiocronaca e smaltita la paura, inizio a lasciare la tribuna stampa per avvicinarmi ai pochi spettatori (tutti dirigenti) accreditati. In quel momento, mi spoglio, di fatto, dai panni di giornalista per sostenere gli aquilotti in campo. Una partita bellissima, nella quale i giganti in maglia bleufoncè, dati per spacciati sino a pochi minuti prima della gara, ribaltano qualsiasi pronostico.
Superando tutte le avversità, la Cavese mostra una difesa (ridisegnata per l’occasione) con Volpecina titolare e tandem centrale composto da Catello Mari e Manuel Panini. Con Pagano a completare il quartetto, la retroguardia biancoblù annichilisce il tridente delle vespe. E che tridente: Gigi Castaldo, Alessandro Ambrosi e Sibilli a supporto. Bocche di fuoco dalle polveri bagnate in quella domenica: la terza linea aquilotta è un muro invalicabile. Nonostante un altro strano episodio (e siamo a tre) che, stavolta, coinvolge Manuel Panini.
In uno scontro di gioco, Manuel perde lo scarpino destro. Come per magia, o meglio per volontà, la scarpa del calciatore aquilotto scompare dal campo di gioco per qualche minuto. Ci aveva pensato un panchinaro della Juve Stabia a scaraventare, fuori dallo stadio, l’attrezzo. Poco male perché, anche senza scarpino per pochi minuti, Manuel porta a termine, a mio avviso, la migliore partita con la maglia bleufoncè. Una prestazione perfetta, senza sbavature. La stessa di tutti gli altri “giganti” aquilotti, scesi quella domenica in campo al “Tomei” di Sora.
Dino Medolla, Gorgonzola (MI)